Perché la scienza non sia una religione

Perché la scienza non sia una religione

Che cos’è la scienza? Si tratta di una sistematizzazione, il più precisa possibile, delle esperienze umane. Perché una informazione possa essere considerata parte del sapere scientifico è necessario che venga derivata da una osservazione oggettiva e replicabile. Significa che più osservatori devono avere la possibilità di verificare un certo fenomeno e la sua regolarità, sulla base di determinate condizioni, in modo da poter accertare che una ipotesi, appunto “scientifica”, sia corretta.

Non è certo che la scienza, rispetto ad un problema, abbia sempre una voce soltanto, può sembrare paradossale ma è così. Per giungere senza ombra di dubbio a qualcosa che sia “scientifico” è necessario molto studio, a volte anni di ricerche, e non sempre tutte le opinioni e gli esiti degli studi di tutte le persone ed i team coinvolti saranno perfettamente allineati fin dall’inizio dei lavori rispetto alle ipotesi da prendere in considerazione. In teoria però, alla fine del processo di ricerca, resteranno davvero pochi dubbi e si potrà esprimere un parere scientifico sul quale ci sarà un sostanziale accordo. Anche questa convergenza va però presa sempre cum grano salis, cioè con giudizio e cautela, soprattutto in medicina: tutto può cambiare, di poco o di molto, sulla base della natura del problema, delle nuove ricerche e delle osservazioni che si faranno in futuro.

Esistono certo discipline in cui la questione è invece abbastanza semplice, come nel caso della matematica di base, mentre ne esistono altre rispetto alle quali la scienza può esprimersi non attraverso la comunicazione di certezze, ma di probabilità: è il caso, tra le altre, della psicologia, della già citata medicina, della biologia. Qual è la differenza tra queste ultime e la matematica di base? Una sopra tutte: l’avere a che fare con la realtà. Fino a che la scienza si muove in un ambiente sterile e popolato da elementi sostanzialmente prevedibili, allora può esprimersi in termini di certezza, quando invece gli oggetti sono i corpi umani, la questione si fa più complicata.

Abbiamo assistito ad una onda anomala portatrice di incertezza, il virus, e ad un successivo tentativo di rassicurare e riportare tutto alla normalità, la cura, al momento rappresentata quasi unicamente dal vaccino.

Sbagliano quanti affermano che “i vaccini sono totalmente insicuri”: alla base della commercializzazione degli stessi vi sono studi scientifici, verificabili e consultabili da chiunque e le probabilità di efficacia e rischio sono chiaramente espresse dai foglietti illustrativi, così come accade anche per i farmaci da banco.

Sbagliano quanti affermano che “tutti i vaccini sono totalmente sicuri” perché tale affermazione contrasta direttamente perfino con il foglietto illustrativo, nel quale i rischi sono espressi con chiarezza dal produttore, il quale non ha alcun interesse ad informare sul pericolo rappresentato dal suo prodotto, se non quello di tutelare se stesso da eventuali azioni legali. Oltretutto iniziare le proprie affermazioni con “tutti i vaccini” è un altro rischio: si confondono tra loro prodotti radicalmente differenti.

Negli scorsi giorni, su di un giornale a tiratura nazionale, ho letto tra i titoli “il rischio zero non è un diritto“. Si riferiva ad un episodio occorso con un vaccino in particolare, il quale sembra (tuttora, mentre scrivo) possa essere causa di effetti collaterali particolarmente gravi, in grado in alcuni casi di condurre alla morte. Sul titolo torneremo poi, per il momento notiamo che l’evento è un’occasione molto utile per valutare il comportamento di potere, testate giornalistiche, esperti vari e popolazione. Ecco la sequenza dei fatti: dopo la registrazione dei casi sospetti la notizia viene fatta circolare sui giornali, in brevissimo tempo il lotto dal quale provengono le dosi che sembrano aver causato i problemi viene sospeso, i social diffondono la notizia dei casi sospetti, le agenzie del farmaco ed il produttore affermano che non vi è alcun rischio, il potere afferma che non vi è alcun rischio. Il tutto nel giro di un paio d’ore.

A cosa abbiamo assistito? Semplice: al palesarsi di timori ed intenzioni. L’emotività, la volontà di proteggere i propri interessi (del singolo o della collettività) e la ragion di stato interagiscono molto rapidamente in questo episodio. Da un lato si assiste ad un atto dovuto: l’iniziale certificazione che “qualcosa è accaduto”, quindi la manifestazione della necessità di cautela.

L’emotività allora risponde con “tutti i vaccini sono pericolosi”. L’interesse economico e la ragion di stato, gridano quindi con una sola voce: “tutti i vaccini sono sicuri”.

Entrambe queste posizioni hanno invece torto ed ovviamente non lo affermo io ma la natura della scienza stessa. Ad un atto dovuto, come quello di rilevare un problema, deve corrispondere un atteggiamento di cautela perché, di fatto, un problema vi potrebbe essere davvero (ad esempio nel confezionamento o nella conservazione di un determinato lotto) e la certezza sulla questione può giungere solo al termine di una analisi correttamente eseguita, la quale non può richiedere solamente un paio d’ore. Quindi negare od affermare in modo categorico la sicurezza di ogni vaccino è un comportamento ugualmente irrealistico e guidato da un atteggiamento non scientifico, vediamo perché.

Guidate un autobus con a bordo 200 persone, tutte in piedi. Siete ad alta velocità. Davanti a voi, a soli 50 metri di distanza, compare una persona. Potreste tentare di frenare, ma sarebbe una frenata brusca, una decina dei passeggeri sicuramente morirebbero, schiacciati dal peso degli altri. Se non frenate, la persona in mezzo alla strada, che non ha notato nulla e continua a camminare dandovi le spalle, morirà. Cosa farete?

Affrontiamo il punto di vista della ragion di stato: una vaccinazione, mediamente, potrebbe uccidere una persona su un milione, forse due, forse dieci, dipende. Ne salva però molte di più. Quante? Difficile, se non impossibile, affermare con certezza anche questo. Se siete alla guida di uno stato con decine di milioni di abitanti, vaccinarli tutti significa (forse) avere sulla coscienza qualche decina di decessi e nel contempo avere la certezza di salvarne molti, forse moltissimi. Cosa fareste se foste voi alla guida di una nazione? Probabilmente cerchereste di far pubblicare ai giornali notizie che incitino alla vaccinazione di massa, quando non sia possibile il ricorso a leggi che impongano l’obbligo per tutti: dovete salvaguardare l’interesse della nazione e, davanti a questo, il singolo è sempre sacrificabile.

Tutto cambia se invece adottiamo il punto di vista di un cittadino, se pensate cioè solo alla vostra salute. In questo caso valutate il rischio (ad esempio 1-10 morti su 1’000’000 di vaccinazioni, 1-10 casi di danni permanenti, ecc.) rispetto ai benefici (salvarsi la vita da un virus che uccide una persona anziana ogni 100’000 contagiate, ad esempio): sta a voi decidere, sulla base della vostra età, salute, della vostra ipocondria, del vostro rischio professionale di essere contagiati.

Paradossalmente, potreste scegliere di vaccinarvi anche se il rischio di morte fosse davvero basso (come capita ad esempio con l’influenza stagionale) od, al contrario, potreste scegliere di non vaccinarvi innanzi ad un virus che potrebbe seriamente mettere a rischio la vostra esistenza. Questo è il punto di vista del singolo, influenzato da emozioni, valutazioni del rischio, informazioni ricevute o studi effettuati, scelte personali, motivi etici e religiosi, atteggiamento di parenti ed amici, altre contingenze.

Quanto conta nel caso del COVID l’invocata (da alcuni) “responsabilità sociale”, cioè il “vaccinarsi per amore degli altri”? Non lo sappiamo, forse molto poco, forse per nulla: non ci sono evidenze che una persona vaccinata non sia contagiosa, cioè potrebbe manifestare sintomi blandi o nessun sintomo, per l’effetto protettivo del vaccino, e continuare a contagiare gli altri. Ci sono anche stati casi in cui, dopo la seconda e conclusiva somministrazione di vaccino, si è risultati positivi al corona virus. Analisi: è troppo presto per trarre conclusioni, vi sono solo esiti di osservazioni, siamo in attesa dei risultati di studi scientifici.

Il punto di vista di una azienda farmaceutica, cioè il punto di vista del capitale, ve lo risparmio: credo sia chiaro a tutti cosa conviene a chi produce un bene.

Cosa è onesto in questo scenario? A mio avviso soltanto affermare che:

  1. vaccinandosi il rischio di incorrere in effetti collaterali, anche gravi, esiste sempre, proprio come riportato dal foglietto illustrativo di qualsivoglia vaccino (il quale è suscettibile comunque di variazioni in base alle casistiche che si presenteranno);
  2. il rischio di morire contraendo il COVID esiste ed è statisticamente (secondo i dati attuali) molto più elevato di quello che si corre vaccinandosi.

Tutto questo affermato su ciò che sappiamo ora. Vi saranno effetti collaterali a lungo termine del vaccino? In teoria si tratta di un rischio trascurabile. Significa che non ne esisteranno? No, significa che non possiamo escludere al 100% che ve ne saranno. Anche farmaci in passato ritenuti sicuri sono poi stati ritirati dal mercato, ma si tratta di pochi casi, non della regola.

Tornando all’articolo, il giornalista affermava che non si ha diritto al “rischio zero”. Se questa è la posizione del potere, cioè dell’interesse della collettività, allora non si dovrebbe nemmeno obbligare al vaccino, perché altrimenti si metterebbe in scena una sorta di colossale roulette russa, in cui si chiede al singolo, fosse anche uno su un milione, di correre il rischio di sacrificarsi per il bene degli altri.

Non esistono risposte semplici. Diffidate sempre di chi parla, senza averne la possibilità scientifica, di “tutto” o “niente”.

Photo by Patrick Fore on Unsplash.com)

Rispondi