Io ed i miei errori, siamo un esercito.

Io ed i miei errori, siamo un esercito.

E’ notte e sto pensando ad una paziente. Non che la cosa sia una novità. Amo il mio lavoro e tutte le persone che incontro, in qualche misura, entrano a far parte di me, della mia vita. Non la trovo una “invasione”: quando sto con le persone ci sto con tutto me stesso e con tutta la quiete di cui sono capace. Questa paziente non sa cosa fare, non sa dove andare. Ne parlo perché penso sia qualcosa che può capitare a tanti giovani e forse anche a qualcuno di meno giovane.

Cosa fare della nostra vita? E’ possibile, guardandosi alle spalle, non vedere nulla di ordinato, non cogliere il nesso, faticare a distinguere le proprie scelte da ciò che semplicemente ci è accaduto, per una ragione o per l’altra. “Vorrei fare in fretta”, “devo capire cosa devo fare”. Il peso sulle spalle è tanto, perché qualcuno sulle nostre spalle lo ha pur caricato. Magari non per cattiveria, magari perché ci voleva bene e sognava qualcosa per noi (oppure aveva già deciso al posto nostro, senza chiederci nemmeno il permesso). Chi carica peso sulle nostre spalle, va detto, spesso non è molto sicuro di sé e cerca di fare in modo che noi ci salviamo (almeno noi). O magari cerca di salvare se stesso, attraverso il nostro sacrificio, sempre senza chiederci il permesso. Che poi così facendo ci renda tutto più difficile, è un’altra storia.

Fretta. Ed insieme una sensazione vaga di noi, quasi trasparenti, quasi immateriali, senza un appiglio, senza una ragione. Gli altri vanno, gli altri fanno, il tempo per loro scorre e scorre anche per noi, ma restiamo immobili. Cosa serve per decidere quale punto dell’orizzonte sia quello giusto? Chi ci ha davvero guardati, visti, chi ci ha chiesto per una volta “che cosa ti piace?”, “che cosa vorresti fare?”. Non sempre accade.

Siamo esseri viventi, abbiamo un inizio, abbiamo una fine. Fretta. Di nuovo. Il tempo passa e la società ci richiede cose precise in una lingua che non ha voce. Un partner, la patente, un’auto, una casa, un figlio. Presto. “Bisogna”. Ce lo sentiamo sussurrare. Eppure non è ancora possibile capire dove, con chi, ma soprattutto “perché”. Mancano i motivi, manca il motivo. Il motivo, il movente, ciò che ci muove verso qualcosa e se non ce lo abbiamo restiamo immobili come una barchetta in mezzo ad un mare piatto, calmo, terrificante nel suo essere sempre uguale.

Guardiamoci indietro, guardiamoci dentro. I nostri sbagli, le nostre paure, i nostri drammi. Non li vogliamo vedere? Facciamo uno sforzo. In terapia si fa così, ci si lascia prendere per mano e si prende per mano. Si porta chi abbiamo scelto come terapeuta dentro di noi. Mostriamo e ci facciamo mostrare. Le cose complicate lo sono ancora, ma alcune si riesce a capirle. I nostri sbagli, le nostre paure, i nostri drammi. Autentici tutti, sinceri, sepolti, accennati oppure presenti e terribili. La strada che cerchiamo davanti a noi, cerchiamola dentro. Da qualche parte i nostri errori sono nascosti, sono vergogne, grandi e piccole, sono macchie, sono lacrime. Guardiamole assieme al nostro terapeuta.

Cambiamo prospettiva: Tutto ciò che abbiamo vissuto è ciò che ci ha forgiati. Conosciamo il dolore, conosciamo la perdita, conosciamo il rumore dei sogni in frantumi (e magari anche quello dei sogni che si realizzano).

Facciamo di ciò che abbiamo dentro il nostro esercito, cambiamo prospettiva. Io ed i miei errori, siamo un esercito. La paura vacilla. Di cosa avere paura ora che ci si è impadroniti dei propri sbagli? Cos’altro può accadere di male? Nulla. Andiamo avanti, un passo dopo l’altro: è la determinazione a cambiare le nostre vite, la vergogna non è che una gabbia, il senso di colpa non è che una gabbia. Coraggio, un abbraccio.

Foto di Randy Fath su Unsplash

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