Stiamo vivendo un periodo piuttosto complesso a livello planetario. Non stiamo parlando di virus, ma di politica e di ambiente. Vecchie ferite si riaprono e nuovi conflitti si manifestano. Incendi e devastazioni di vario genere, più o meno tutti in grado di annoverare l’uomo tra le loro cause, si presentano ai nostri occhi.
Cosa possiamo fare?
Poco. Nulla in molti casi. Possiamo pensare di firmare una petizione, di inviare una email: per molti di noi, privi dei mezzi economici per potere esercitare una pressione determinante e risolutiva, le possibilità si esauriscono qui. Certo, possiamo contare su associazioni ed enti, allora la nostra voce, unita a quella di molti altri diventerà, nella migliore delle ipotesi, un forte grido e, forse, qualche risultato lo si riuscirà ad ottenere.
Tutto questo, va fatto, sempre. C’è però un altro modo di affrontare un problema e questo modo ci riguarda tutti molto da vicino.
“Prevenire è meglio che curare” è una frase piuttosto ovvia. Significa che è meglio agire, sin da subito, sulle cause che in un secondo momento potrebbero condurre al verificarsi di un evento spiacevole. Durante la vita di tutti i giorni siamo materialmente in grado di intervenire sulle cause che hanno condotto il nostro piccolo Pianeta Azzurro allo stato in cui versa oggi. Certamente ciascuno di noi deve fare la sua piccola parte, ma c’è un aspetto che consideriamo poco, in un mondo ormai così tanto pervaso dal linguaggio. Questo aspetto è la forza dell’esempio.
Siamo esempio per gli altri indipendentemente dalle nostre scelte, condizioniamo chi ci sta attorno, in varia misura, qualunque cosa scegliamo (o no) di fare. Compiacere l’altro è un comportamento innato: se una persona ci è molto simpatica, faremo in modo di uniformarci, almeno un pochino, a lei od a lui. Significa venirsi incontro, significa fare branco, significa trovare qualcosa (un motivo) per sentirsi “in due” e non più da soli. Mimare il comportamento altrui è esprimere apprezzamento, affermare un implicito “hai ragione, è così che si fa, sono d’accordo, sono con te”.
La cosa funziona in ogni ambito. Possiamo influenzare gli altri (ed esserne influenzati) in tutti i settori del nostro esistere: dal vestiario al cibo, dal mezzo di trasporto scelto alle frasi che utilizziamo più spesso e che tendono a caratterizzarci, dalle nostre espressioni facciali all’auto che guidiamo… l’elenco sarebbe davvero enorme. Si tratta di una osservazione che può condurci a ridefinire il nostro modo di agire: non pensiamo di poter cambiare davvero le sorti di un accordo internazionale tra due capi di stato semplicemente parlandone (e magari arrabbiandoci) con il nostro vicino di casa, non è vero?
Le nostre discussioni, accorate, sincere, sono molto spesso soltanto un modo per affermare il nostro io: a volte diventa difficile persino capire se stiamo analizzando le idee delle quali discutiamo o difendendole per il solo fatto di essere le “nostre” ragioni.
Magari continuiamo a farlo: continuiamo a parlare del più e del meno, del tempo e della politica, ma davanti al nostro prossimo acquisto al supermercato, pensiamo a cos’abbiamo in mano, a come quel gesto, l’acquisto appunto, che pare situarsi al di fuori di ogni responsabilità morale, possa rappresentare invece una delle tante piccole cause che poi, tra un anno, due o cento, si trasformeranno in un maestoso problema che magari qualcun altro dovrà affrontare. La nostra azione conta, ma come detto conta anche il nostro esempio: un piccolo gesto, osservato da altri, può diventare un insegnamento, l’implicito suggerimento dell’esistenza di una alternativa.
Se prevenire è meglio che curare, agire è meglio che parlare.