Sembra un paradosso. Eppure “ordinarci” di rilassarci quando si è molto agitati è (in piccolo) un po’ comparabile a quello che accade quando si dice “calmati!” a qualcuno che si sta arrabbiando: si ottiene il meraviglioso risultato di portarlo immediatamente dall’agitazione all’ira.
D’altra parte, perché mai imponendomi di rilassarmi dovrei riuscirci?
Esistono delle ragioni precise, anche se magari non le conosco tutte, che mi hanno portato a sperimentare una sensazione spiacevole, di agitazione o di ansia. Cosa si fa di solito? Ci si distrae, almeno si prova.
Distrarsi significa cercare di spostare l’attenzione dalla nostra condizione a qualcosa d’altro, che sia un pensiero od un’attività. Ciò che si ottiene, con un po’ di pratica, è effettivamente funzionale: smetto di considerare ciò che non desidero considerare, visto che sono impegnato a fare altro. Chiodo scaccia chiodo, niente di più.
A volte iniziamo ad ascoltare della musica, con piacere. Poi qualcosa ci interrompe: può essere una telefonata oppure un compito che ci siamo improvvisamente ricordati di dover terminare. La musica, anche se non la stiamo più ascoltando con tutta la nostra attenzione, è ancora lì. Diventa un sottofondo al resto.
Quando proviamo a distrarci è più o meno la stessa cosa. Dentro di noi tutto continua (anche l’ansia), solo ci stiamo sforzando di non prestarvi attenzione. Il nostro comportamento (le nostre reazioni con gli altri, ad esempio), comunque, sarà influenzato da tutto ciò che proviamo, non solo da ciò che ci fa piacere.
Come uscirne davvero? La risposta dimora altrove e non consiste nel cercare un’attività ordinaria, ma una non-attività: se siamo ansiosi, stiamo vivendo nei nostri pensieri ed è con questi che dobbiamo, il prima possibile, imparare ad avere a che fare, per rinunciare ad una vita fatta di riflessione ed abbracciare la nostra realtà.
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